Antonio Mainenti percorre una cinquantina d’anni di musica d’autore in cinquanta minuti.
Grazie al Laboratorio Creattivo per avermi invitato a realizzare questo progetto e per la possibilità di poter usare il materiale
(se vuoi segui il testo)
I ragazzi dell’associazione Laboratoriocreattivo mi hanno invitato come
ricercatore esperto di canzoni d’autore. Diciamo che questa passione
mi è nata molti anni fa, ero ancora alle scuole medie quando
comprai l’album “le nuvole” di Fabrizio De Andrè e uno
spartito con le canzoni di Francesco De Gregori; da quel momento ho
iniziato ad appassionarmi di un certo tipo di canzoni, fino a cercare
di capire quali fossero le naturali origini del fenomeno.
Nello
stesso tempo avevo ancora in testa le melodie popolari della mia
Sicilia che sin da bambino mi venivano cantate a ninna nanna….ecco,
credo proprio che l’origine della canzone d’autore sia da ritrovare
nella vasta tradizione di
canzoni popolari che abbiamo in tutte le regioni d’ Italia, canzoni
che accompagnavano i vari momenti della giornata o che nascevano
dall’esigenza di esprimere qualcosa: protesta per il lavoro che
manca, nostalgia dell’ amante lontana, dissenso verso una chiesa e un
governo non rappresentativi. Melodie e parole che vanno rinnovandosi
nei secoli, mettendo in luce le insofferenze di un dato momento
storico.
Tutto questo fino alla seconda guerra mondiale, con
l’avvento della modernità e la facilità della
registrazione, subentrarono i vari festival dedicati alla musica
“creata a tavolino”: quella imposta dal mercato che pian
piano creerà un gusto collettivo imposto dall’alto.
Il
dopoguerra, appunto, è un periodo di grossi cambiamenti di
costume, politici e di desideri per il futuro. Si inizia a sognare di
possedere un’ automobile, un televisore, il telefono in casa e la
lavatrice, il desiderio del poter divenire un giorno dei ricchi è
indistinto in tutti. Si cambia pian piano il modo di mangiare,
arrivano dalla Germania i primi cibi confezionati perché in
Italia l’industria alimentare è antiquata.
I
film western con gli indiani o i film di Ben Hur, non si usano quasi
più, arriva l’american life style, anche il realismo
cinematografico mostrerà spesso degli stereotipi americani
rivisitati all’italiana.
Nel
1956 in Ungheria la popolazione si ribella contro l’invasore
sovietico, ci sarà una rivolta dove moriranno circa 2500
persone per mano dell’ URSS che di certo non vuole perdere una delle
sue colonie. All’interno del partito comunista italiano ci saranno un
po’ di novità: molti intellettuali, critici con l’intervento
sovietico, si allontaneranno dal partito; il partito, a sua volta,
prenderà una posizione negativa nei confronti dei rivoltosi
ungheresi definendoli fascisti e provocatori.
Uno
dei personaggi più di spicco che abbandonerà il PCI è
Italo Calvino, lo stesso che sarà tra i primi collaboratori
del collettivo “politico musicale” dei Cantacronache. Il
collettivo Cantacronache nasce nel 1958, si dice che siano stati loro
a dare vita alla canzone d’autore, che senza di essi non sarebbero
nati artisti del calibro di De Andrè, Paoli, Pietrangeli, De
Gregori e così via.
Parola
d’ordine del gruppo “Evadere dall’evasione”, “dichiarare
guerra alla luna e cantare gli sposi infelici” (vedi la “Canzone
triste” di Calvino-Liberovici) ossia contrapporre una canzone in
certo qual modo “neorealista” alla melensaggine da cartolina
illustrata e all’artificiosità delle canzonette di moda. Il
gruppo contribuirà a modificare il gusto popolare nobilitando
il genere “canzone”, da sempre considerato un sottoprodotto
culturale; le armi saranno in un certo senso le stesse della
canzonetta d’evasione, linguaggio piano e accessibile, forme
metriche tradizionali, una musica melodica ed immediatamente emotiva.
Il
Cantacronache
esce dalla fase progettuale il 1°maggio 1958 partecipando al
corteo della CGIL con, tra l’altro, la canzone Dove
vola l’avvoltoio?
di Calvino-Liberovici.
CANZONI:
dove
vola l’avvoltoio, un paese vuol dire
I
giovani compositori del gruppo sono: Fausto Amodei, Giorgio De Maria,
Emilio Jona, Sergio Liberovici, Michele Luciano Straniero. Il
successo dello spettacolo porta a repliche e a nuovi adepti al
gruppo, fra gli altri gli scrittori: Franco Fortini, Italo Calvino,
Franco Antonicelli, Direttamente
o indirettamente, collaborarono anche la cantante Margot, Giorgio De
Maria, Mario Pogliotti (CANZONE DI POGLIOTTI: La Ruota), Giovanni
Arpino, Umberto Eco, Gianni Rodari, ma l’elenco continuerebbe
ancora…
In
questo periodo il canto di protesta è, a mio avviso, il più
genuino.
Fausto
Amodei, uno del collettivo, parla del gruppo così: i
Cantacronache si proposero
di scrivere canzoni, che fossero tali e non ballate o sinfonie,
canzoni da cantarsi e fischiettarsi che però avessero un testo
dignitoso ed una musica che non fosse solo “orecchiata”. Si
voleva fare una canzone popolare, di qualità, ma non “snob”,
che potesse essere compresa da tutti. Il nome scelto per il
progetto era allusivo ai contenuti: “Il Cantacronache”. Il nemico
da battere era l’evasività della canzone di consumo, una
canzone priva di riferimenti con i fatti che avvenivano, con le idee
che circolavano… Lo scopo era fare una canzone legata non tanto ai
fatti di cronaca in sé, ma che guardasse alla realtà,
non ai sogni.
Il
1958 è anche l’anno di Domenico Modugno che vince Sanremo e,
successivamente, conquista il mondo con “nel blu dipinto di blu”.
Modugno stesso è considerato un innovatore, un incosciente che
insieme al suo compagno di viaggio Riccardo Pazzaglia, scrittore
Napoletano di molti suoi testi, osa sfidare l’Italianità di
Claudio Villa e delle canzonette d’amore.
CANZONE
DI MODUGNO: vecchio
frak
negli
anni ’60, la musica d’autore splende di vita propria, sicuramente
grazie agli insegnamenti dei pionieri Cantacronache da una parte e
Modugno dall’altra.
Dei
riferimenti stranieri sono gli chansonier Francesi come Brassens e
Ferrè.
In
tutto il mondo si sente l’esigenza di trattare fatti reali e scrivere
di vita quotidiana: abbiamo phil ochs, tom paxton, buffy saint-marie,
dylan e baez negli usa, victor jara (EL MARTILLO)e violeta parra in
cile,Alfredo Zitarrosa in Uruguay, il movimento tropicalista di
Veloso e Gil in brasile e paco ibanez in spagna.
Appunto
in Italia,dai primi anni sessanta in poi nasceranno artisticamente i
cantautori più famosi del secolo scorso: Paolo Pietrangeli, il
militante che ha scritto Contessa, Giovanna Marini, De Gregori, e poi
quelli che più preferisco di cui vi farò ascoltare una
canzone:
Tenco
– ballata del marinaio
Endrigo
– canzone per te
De
Andrè – verranno a chiederti del nostro amore
a
mio avviso, nella generazione sessantottina in italia, c’è
stato qualche problema con la canzone d’autore, nel senso che per un
decennio non è stata più libera. Divenne per molti un
potenziale mezzo rivoluzionario con uno stile ben definito, magari
approvato dal partito o da un gruppo di intellettuali che nel campo
artistico e culturale, dettavano le regole sui gusti e su ciò
che era giusto ascoltare, guardare, dire, leggere (ben diverso dallo
spirito genuino del Maggio del ’68 Francese o di quello di alcuni
movimenti).
Chi non schierato all’interno del partito comunista,
veniva non considerato artisticamente o culturalmente, ma
eventualmente etichettato come di serie “B”. Più avanti
ricorderò dei cantautori non schierati ma sicuramente con le
idee molto chiare…
La
fine degli anni ’60 è anche il periodo del cosiddetto folk
revival, molti artisti
ricercavano brani della tradizione regionale italiana che stava per
scomparire o scrivevano nel proprio dialetto: ricordo Caterina Bueno
(scomparsa il mese scorso) in Toscana, Otello Profazio un Calabrese
prestato alle poesie del Poeta di Bagheria Ignazio Buttitta, Matteo
Salvatore di estrazione sottoproletaria, analfabeta e romantico ma
realista scrittore di testi indimenticabili in dialetto di Apricena
nel Foggiano…..va bè, vi faccio ascoltare lu bene
mio di Salvatore….
vorrei
ricordare anche artisti del nord italia come Ivan della Mea, il quale
ha scritto parecchie canzoni in dialetto milanese come questa: EL ME
GATT
un
cantautore, un poeta “particolare” di questo periodo è
indubbiamente Piero Ciampi, il Livornese, non etichettato,
indefinibile ubriacone inquieto. Piero Ciampi buttava giù
spesse volte i suoi testi direttamente in sala di incisione per
registrare i dischi; in vita non ebbe molti riconoscimenti se non
quelli dei suoi colleghi artisti (come Gino Paoli) che carpirono e
apprezzarono il suo talento.
Piero
Ciampi era molto simile a Rino Gaetano, anche lui della tribù
dei non schierati e non identificati, gente così libera in un
periodo dove si poteva sognare solamente tutti insieme e non da soli.
A
mio avviso, Rino Gaetano assimilò (magari inconsapevolmente),
il pensiero delle generazioni precedenti, portò una reale
innovazione comunicativa: come Piero Ciampi un individuo che esce dal
branco, un anarchico d’istinto, non ideologizzato; un unico, un
personaggio nudo che non ha bisogno di una bandiera di partito per
coprire le proprie vergogne.
ovviamente verrà
sottovalutato, è successo a tutti quelli che “ci mettono
la faccia”. si diceva che ornette coleman, l’inventore del free
jazz non sapesse suonare il sax.: la storia è vecchia.
FINALE,
Piero Ciampi: Il Merlo