Fuori bordo, conclusioni primo anno (2013/2014)
scrivo in prima persona
Fuori Bordo, il festivalino di musiche radicali di Pavia, termina la prima edizione. Il 22 aprile, l’ultimo concerto della stagione al Via d’Acqua.
Sono riuscito a tirare avanti per tutta la stagione, con dei concerti e performance interessantissimi ed innovativi.
Devo ringraziare i musicisti che hanno partecipato, non solo per la professionalità e la bravura, ma anche per l’umanità; ho conosciuto persone stupende, disponibili, sorridenti e giustamente incazzate. Si è discusso dell’arte a cui tanto teniamo, del continuare imperterriti a suonare senza compromessi, dell’importanza che ha la ricerca e la sperimentazione nell’arte che altrimenti soccomberebbe.
Ho conosciuto artisti che non se la tirano, umili e con gran tecnica, rumorosi e delicati.
Ha suonato gente di Milano, di Torino, Olandesi, Norvegesi, Sardi, Siciliani, Romani e Napoletani; questa città di provincia ha ospitato artisti unici, con progetti importanti per la ricerca musicale e performativa.
Ringrazio il Via d’Acqua e I Cantieri per averci offerto gli spazi, l’aiuto, il cibo, da bere, un po’ di soldi e l’umanità; li ringrazio soprattutto perché oggi, per dei circoli è difficile guadagnare abbastanza per pagare le spese di gestione e dedicare delle serate alla musica radicale e possibilmente far storcere il naso all’utenza abituale.
Ho visto facce schifate, gente che invece di chiedersi perché, non capisce, giudica dei pazzi quei tizi lì sul palco. Gente che invece di rispettare chi si sta esibendo, parla a voce alta durante i concerti.
Non voglio dedicare troppe parole a queste persone, queste persone convinte che la rivoluzione si farà in 4/4, con la cassa dritta; penso però che in un periodo buio come questo, molto più buio di soli 5 anni fa, bisogna tenere duro. Si può provare ad arrivare a tutti con mezzi differenti, come la radio per esempio, che rinasce e splende di nuova vita negli ultimi anni; con l’arte di strada, con le provocazioni e anche con la semplice costatazione che come bisogna osare nella vita e non piegarsi, bisogna fare la stessa cosa anche nell’arte.
L’arte è sempre più lontana dall’essere umano e sempre più conservata in luoghi protetti, siano essi musei, generi, luoghi comuni e libri di scuola. L’arte apparteneva a ciascuno di noi, ma oggi gli individui hanno il pudore dell’arte, si coprono con delle vesti per non esprimere la propria creatività, indossano il karaoke come un anonimo pullover, danzano passi scritti, per paura di osare; ascoltano jazz di cinquanta anni fa per sentirsi eruditi, parlano di Bach che oggi gli sputerebbe in un occhio.
Per quanto riguarda invece la città che ci ospita, Pavia, non ho molto da dire. Vivo qui da “soli” tre anni, conosco poca gente ma buona, frequento belle persone nate qui e altrove, artisti e non.
Penso che in questi bui anni dieci, un posto vale l’altro: a Berlino fai un concerto davanti a 5 persone, a Milano davanti a 20, a Pavia davanti a 7 (questi valori sono intercambiabili).
La cosa più preoccupante è che la gente non esce più di casa, soprattutto per vedere e sentire e partecipare a qualcosa di nuovo e di unico, che non sia la tribute band o la jam session jazz (con rispetto per colleghi musicisti).
Non è Pavia il problema, ma il mondo occidentale che si aggrappa ormai a quelle certezze ben collaudate per tentare di vivere un po’ più a lungo fino al disfacimento totale.
Se un disfacimento della cultura e dell’arte ci sarà, la lotta mia o dei miei colleghi, sarà una delle poche cose da cui ricominciare: io, loro, non ci arrenderemo e non smetteremo mai di infastidirvi con i nostri rumori o voci soavi che siano.
Il prossimo anno potremmo ripensare il festival in modo diverso, per arrivare a più persone, visto che i locali non si riempiono e visto che sarà nuovamente difficile trovare finanziamenti. Il festival potrebbe diventare internazionale, se qualcuno di voi vuole collaborare, potremmo proporre date in tutto il mondo.
PROPOSTE
- Ipotesi 1:
suonare a casa della gente, un po’ come Piano City di Milano. Invece di cercare finanziamenti, chiedere ad amici e conoscenti di ospitare i gruppi per farli esibire nella propria casa o farli esibire con gli oggetti della propria casa (tipo il film svedese “sounds of noise”); il tutto, potrebbe essere trasmesso in streaming audio (diretta o podcast).
Questa è l’idea che più mi convince, si potrebbero organizzare delle vere e proprie performance “site specific” a casa della gente, il pubblico potrebbero essere solamente parenti e amici dei gentili padroni di casa che magari offrono ai partecipanti biscottini e birre. Questa idea vale anche per capannoni industriali, negozi, barberie, palestre, bagni pubblici, centri massaggi, etc.
- ipotesi 2:crowdfunding per poter finanziare i concerti e pagare i musicisti. Bilanci aperti sulla gestione economica.Sono pessimista, il crowdfunding è una invenzione geniale, ma non adatta se non si ha a disposizione una potenziale utenza (uno scopo umanitario, un progetto scientifico, etc.) e finiremmo a raccogliere quattro soldi
- ipotesi 3:continuare come quest’anno a cercare locali che ci ospitano, rischiando di non avere pubblico e cantandocela e suonarcela tra di noi. Potremmo però cercare degli sponsor.
Invece, per finanziare qualsiasi delle tre ipotesi, potremmo vendere un “feticcio” prima dell’inizio della stagione, una copertina o un origami fatto a mano da ciascun artista che parteciperà al festival. Questa cover sarà vuota ma disporrà di un codice per scaricare i live della rassegna appena saranno disponibili.
Antonio Mainenti
proposta rilasciata in Creative Commons
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ho avuto il piacere di ospitare a Pavia (in ordine alfabetico):
Adrian Løseth Waade, Davide Puffo Chimenti, Duna Lacera (Andrea Bolzoni, Luca Pissavini), Eleonora M. Ravasi, Emilio Bernè, Natali Abrahamsen Garner, Rinus van Alebeek, Roberto Fega, Soviet Love (Annalisa Pascai Saiu, Michele Anelli)
per partecipare scrivi a ntosound @ aol.com evento FB youtube